venerdì 19 ottobre 2012

Il primo giorno di scuola


"Mancano le aule" "Piove dal soffitto" "Genitori protestano per il caro libri" "Gli zaini pesanti deformano la schiena" "Docenti precari organizzano sit in davanti al ministero"... Questi i titoli dei servizi sulle reti televisive nazionali e locali nel primo giorno di scuola.
Tutto vero! Eppure nei miei ricordi c'è dell'altro.
Ho insegnato matematica e scienze per più di vent'anni nella scuola media statale “Gaio Cecilio Secondo” di Roma , quartiere Tuscolano, e il primo giorno di scuola di questi anni lo ricordo così.
Noi professori nel grande atrio stavamo pronti ad attendere gli alunni, con i registri in mano nuovi di zecca; quello personale di colore blu nel quale avremmo dovuto trascrivere i nomi degli allievi e registrare le attività svolte con le valutazioni delle prove scritte e orali, e poi il registro grande di classe: rosso, con una copertina cartonata plastificata così pesante che se per distrazione ti cadeva di taglio su un piede, procurava minimo minimo una frattura alle dita, ancora libere da calze e scarpe per via della temperatura quasi estiva.
La porta di ingresso della scuola, inserita in una parete completamente vetrata permetteva di vedere e anche di sentire quel che accadeva fuori.
Una massa di ragazzini si accalcava contro la porta: c'era chi era arrivato presto per essere il primo ad entrare, come volesse battere un record; altri in leggero ritardo sui mattinieri spintonavano, urlavano, dando botte qua e là con lo zaino ai malcapitati che si trovavano sulla rotta che puntava dritto all' ingresso. Quando ancora non erano state messe le porte antipanico, il battente mobile si apriva verso l'interno e il temerario bidello, pardon, ausiliario, che avrebbe dovuto aprire al suono della prima campanella, doveva essere un vero atleta per ruotare la maniglia e arretrare con un salto laterale che gli facesse evitare di essere schiacciato dal fiume in piena degli studenti che si precipitavano dentro la scuola. Che entusiasmo. che desiderio di imparare! Sembra vero! Ho sempre pensato che i ragazzi concentrassero in quei pochi istanti dell'inizio dell'anno scolastico tutta l'energia che avrebbero dovuto distribuire nei 210 giorni rimanenti.
Conoscevo bene gli alunni della seconda e della terza e anche molti della prima, spesso fratelli o parenti di miei ex studenti. E siccome da bambina avevo sempre odiato i compiti per le vacanze, diventata insegnante non ne ho mai assegnati; chiedevo solo ai ragazzi di tenere gli occhi bene aperti sul luogo in cui passavano l'estate e di portate qualche oggetto che facesse vivere anche agli altri compagni le bellezze naturali di quel posto. La prima mattinata trascorreva perciò con questi "racconti dell'estate"; c'era serenità, allegria in classe e i muri dell'aula si riempivano di cartelloni con fotografie, rami di arbusti profumati, conchiglie... che restavano attaccati per alcune settimane quasi a volerci ricordare di mantenere tutto l'anno quel clima festoso del primo giorno.

Dopo tanti anni trascorsi alla “Cecilio Secondo”, sento il desiderio di confrontarmi con una realtà diversa e chiedo il trasferimento nel “1°CTP Nelson Mandela”, una scuola frequentata da adulti migranti che si trova nel quartiere Esquilino . Mi assegnano un corso di licenza media, che dura solo un anno e prepara gli studenti al conseguimento del diploma. E' il settembre del 2003 e mi accingo ad affrontare il primo giorno di scuola, un primo giorno di scuola per me davvero straordinario.
In segreteria mi consegnano solo un foglio con la lista degli iscritti e mi reco in classe ad aspettare gli alunni. L'aula è vuota, la porta aperta; fanno capolino timidamente donne e uomini, più o meno giovani, con un foglietto in mano. Senza proferire parola me lo mostrano e io controllo se quel nome a volte per me di difficile lettura sta pure sulla mia lista: Abdhullà, Mohamed, Xu, Saravan, Jeorgi... Sì, devono restare qui, sono loro i miei nuovi studenti. Non hanno zaini pesanti, righe con cui fare gli spadaccini, quadernoni... soltanto una penna, un piccolo block notes, alcuni nulla. Non si conoscono, non mi conoscono, si guardano, mi guardano: silenzio totale. Non sono abituata al silenzio in classe e allora mi presento rivolgendomi molto lentamente a ciascuno di loro: io mi chiamo Carla, e tu? Cominciano a rispondere e a dire i loro nomi, qualcuno non capisce. Non so che fare e mi viene l'idea di chiedergli: do you speak English? gli occhi gli si illuminano, finalmente può comunicare e risponde felice: YES!!! ma ahimè io non parlo quasi per niente l' inglese e gli dico: io NO!!! Il tempo di un attimo... e scoppia una risata generale. Evviva, abbiamo rotto il ghiaccio, siamo alla pari. Adesso  tutti vogliono dire qualcosa, raccontare di sé, del loro Paese di provenienza, del perché si sono iscritti a scuola...
Ce l'ho ancora in testa quella risata schietta, genuina, liberatoria per tutti. Che lezione mi hanno dato questi studenti migranti il primo giorno di scuola! Chi aveva da imparare di più: io o loro? Dopo tanti anni non so dare una risposta a questo interrogativo, ma so per certo che non possiamo chiudere gli occhi, le orecchie e il cuore al Sud del mondo.  Carla Degli Esposti

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