giovedì 21 gennaio 2010

La speranza non muore ad Haiti



Haiti è in questi giorni il simbolo del dolore e della tragedia umana. Anche se tra mille difficoltà, il mondo si sta muovendo in soccorso di questa popolazione così duramente provata. E scopre che ad Haiti manca tutto, e si interroga coma facesse quella gente ad andare avanti. Eppure Haiti era uno dei Paesi più poveri al mondo anche prima che i media lo scoprissero. Ma fino al sisma del 12 dicembre, di Haiti e della sua sofferenza chi ne parlava? E così scopriamo il dramma della denutrizione infantile derivante da una povertà estrema, che colpisce il 55 per cento della popolazione. Veniamo a sapere che il tasso di mortalità prima dei 5 anni è del 7,6 per cento, cioè 21.000 bambini all’anno muoiono di fame, che ad Haiti non è ovvio avere l’acqua, non è ovvio che la gente sappia leggere e scrivere, poiché soltanto la metà dei bambini frequenta la scuola e il 47 per cento della popolazione è analfabeta. Ma, come OPAM, di Haiti ci occupiamo già da anni perché queste cifre lo fanno rientrare fra quei Paesi che ci stanno a cuore. E' uno di quei Paesi verso i quali oltre al nostro aiuto cerchiamo di fornire un'informazione per chi desidera conoscere davvero su che genere di pianeta viviamo e con quali bisogni, sofferenze, ingiustizie si confronta quotidianamente la maggior parte della popolazione mondiale.


Questo significa che è importante mobilitarsi nei casi di emergenza, ma non basta. Perché l’emergenza è purtroppo pane quotidiano per centinaia di milioni di persone come noi, che hanno diritto al cibo, all’acqua, alla salute, all’istruzione, alla dignità di una vita umana.

Per questo motivo non abbiamo interrotto la presentazione sul nostro giornale dei Progetti di aiuto in altre aree del pianeta, dove l’emergenza non fa notizia perché non è sotto i riflettori delle televisioni.

Ad Haiti non siamo intervenuti nella prima fase dei soccorsi con una raccolta di fondi autonoma per non disperdere gli aiuti e farli giungere a coloro che avevano la possibilità di utilizzarli immediatamente nel minor tempo possibile e fino all'ultimo centesimo per affrontare l'emergenza. Per questo abbiamo indirizzato le persone generose a utilizzare altri canali, come i religiosi Camilliani presenti lì da anni con i loro ospedali e missioni che abbiamo sostenuto con diversi progetti e dei quali conosciamo l'impegno e la serietà.

Nell'immediato ci siamo mobilitati per assicurarci delle condizioni degli amici e collaboratori con i quali abbiamo realizzato Progetti di alfabetizzazione. Ringraziando il Cielo stanno tutti bene anche se qualcuno di loro ha perso tutto. Ma attraverso questi contatti abbiamo conosciuto un enorme problema che richiede il nostro intervento: la migrazione degli sfollati, che fuggono dalle zone più colpite per cercare riparo e accoglienza in altre città del Paese con la speranza di poter trovare cibo, cure, riparo, mandare i figli a scuola perché non finiscano per strada. E’ un’emergenza nell’emergenza, perché gli aiuti sono per ora concentrati nella capitale o nei centri più disastrati dal sisma. Riceviamo drammatici appelli da varie Parrocchie, una delle poche strutture esistenti e funzionanti, ma assolutamente prive di mezzi, di città come Beau Séjour, Cap-Haitien ed altre. Dal Progetto 1797 che presentiamo su questo giornale potete farvi un’idea di questa situazione. Altri progetti verranno presentati nei prossimi mesi

perchè Haiti avrà ancora più bisogno di tutto il nostro aiuto quando si spegneranno i riflettori e la macchina gigantesca degli aiuti di emergenza smobiliterà.

Nei giorni immediatamente successivi al terremoto, un sacerdote così commentava la situazione del suo Paese: “Noi haitiani siamo abituati alle catastrofi: quando non sono quelle naturali, sono quelle politiche o di altro genere che da sempre scuotono il Paese. Ma il popolo ogni volta riprende a sperare, sempre torna a sperare che il domani sarà migliore. E questa speranza è una speranza cristiana. Questo popolo è convinto che Dio lo accompagni lungo la sua storia e che sia al suo fianco, nonostante tutto.” E un Camilliano piemontese, P. Gianfranco Lovera, responsabile di un ospedale ancora funzionante a Port-au-Prince descrivendo la situazione al telefono diceva: “Ero qui in mezzo ad un tappeto di feriti e di morti, e mi commuoveva sentire cantare dalla gente i loro salmi: “Signore perché ci hai abbandonati? Signore perché è morto mio figlio, mia figlia? Perché è crollato tutto?”e concludeva “Io prego che questo popolo non perda la speranza e che continui nonostante tutto ad avere questa forza, che dà loro solo Dio, che non è una rassegnazione, ma credo sia in fondo una vera fede.”
L’augurio che questo popolo non perda la speranza dipende in parte anche da noi: se sappiamo stare al suo fianco come il Buon Samaritano. Perché assieme al cibo e all’acqua ci sarà sempre bisogno, ad Haiti e ovunque c’è un fratello che soffre, di una persona che si prenda cura di lui con rispetto e amore.

Don Aldo Martini

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