domenica 21 marzo 2010

La relazione che salva

Qualche giorno fa, presso “Il Chicco” di Ciampino, ho partecipato ad un incontro degli Amici dell’Arca, la Comunità fondata da Jean Vanier nel 1964 andando a vivere con due disabili mentali. Ogni volta che incontro il mondo dei disabili provo un senso di disagio, perché quello che considero il “diverso” (ma qual è la misura per stabilire la diversità e la normalità?) fa emergere la mia difficoltà a capire cosa vuole dirmi, cosa posso fare per lui, a comunicare con lui… Ma ogni volta, vedendo la spontaneità e l’essenzialità dei loro gesti, mi rendo conto che è più semplice di quanto pensi se cerco di entrare in contatto spogliandomi del ruolo di chi deve sempre “fare qualcosa”. Mi chiedo se i veri poveri o disabili non siamo noi, che andiamo -anche con generosità- per fare qualcosa per loro, invece che condividere quello che siamo. Nel fare ci sentiamo utili, perfino buoni, ma restiamo noi a condurre il gioco, in qualche modo ad aver potere sull’altro. Non entriamo ancora in una relazione vera, non li riconosciamo persone preziose, importanti, non ci lasciamo coinvolgere, non diventiamo vulnerabili…

Nella nostra “cultura della competizione”, dell’efficienza, in cui ognuno vuol aver successo, emergere, aver più potere (anche per far del bene!) guai ad essere vulnerabile… saresti stritolato. Invece lo stile che Gesù ci propone attraverso tutta la sua vita non è l’affermazione che “io sono migliore di te” ma che“tu sei importante per me come io voglio esserlo per te”. E’ la “cultura della relazione”, dell’“amatevi a vicenda come Io vi ho amati”. Questa è la conversione alla quale ci invita. Accettare l’altro per quello che è, entrare in relazione sincera con lui, dirgli “raccontami la tua storia, il tuo dolore; forse non ho la soluzione per i tuoi problemi, ma possiamo fare un tratto di strada insieme”.
E’ ciò che spesso sperimentiamo all’OPAM, alla cui porta bussano tanti “diversi” di ogni genere, portatori di tante povertà e dolori, per i quali non abbiamo soluzioni neanche se avessimo il bilancio della FAO e di tutte le più grandi ONG insieme! Perché non tutti i dolori si colmano con i soldi, né tutte le povertà si risolvono con i Progetti. E’ lo stile che cerchiamo di ricalcare, questa “cultura della relazione”, a volte sfibrante, non sempre capita o condivisa.
Quello che mi pare fondamentale è che impariamo ad aprirci al prossimo, ad essere vulnerabili di fronte ai suoi bisogni, a spogliarci del ruolo del “benefattore” che può tutto e rivestire i panni del compagno di strada che insieme cerca e se non può far altro condivide la sofferenza.
Sono convinto come J. Vanier che i più deboli, i più poveri hanno una missione nel mondo e nella Chiesa: quella di rivelarci che la salvezza non viene da noi, ma da loro. Saranno i poveri a salvarci dai nostri deliri di onnipotenza, dalla presunzione della nostra efficienza, dalla nostra ammirazione per i più forti. Ci dimentichiamo che Gesù si è identificato con i bisognosi (avevo fame, ero nudo, in carcere…), che ha assunto il volto del Servo che lava i piedi, che si è addossato tutte le nostre colpe, che si nasconde in quella “seconda Eucaristia” che è ogni persona, perché ciascuno è il luogo dove Dio risiede o è chiamato a risiedere.
“Amo così tanto gli altri -scriveva la giovane Etty Hillesum in pieno olocausto- perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di Te”.
E’ anche questo il senso della Pasqua: l’annuncio che Cristo è morto per tutti, nessuno escluso, perché tutti risorgiamo con Lui e in Lui. Ciascuno è il luogo dove Dio risiede o in cui è chiamato a risiedere. E’ festa della vita che il suo Spirito suscita in tutti coloro che l’accolgono. La sua voce, come un tempo con Lazzaro, risuona forte e ci chiama per nome: “…Vieni fuori, lascia il tuo freddo sepolcro lì dove ti ha portato la tua cultura di morte, lascia le tue bende che ti immobilizzano e vivi da persona salvata, capace di relazioni d’amore”.
Questo è il mondo di pace e di umanità che umilmente, tra tante sconfitte, cerchiamo di costruire sulla parola del Signore che ci ha promesso di non lasciarci soli.
BUONA PASQUA A TUTTI VOI AMICI CHE CONDIVIDETE QUESTA STESSA SPERANZA.
Don Aldo Martini

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