giovedì 21 ottobre 2010

Oltre il bordo del proprio piatto

L’altra mattina, andando al lavoro in una metropolitana stracolma, l’occhio mi è caduto su una pagina di giornale che un vicino stava leggendo. Il titolo informava che “Un terzo del cibo che gli italiani comprano finisce nella spazzatura”. Tra sobbalzi e frenate sono venuto a sapere che a causa degli sprechi si perdono alimenti sufficienti per 44 milioni di persone, che nella spazzatura finiscono 515 € l’anno di cibo per famiglia, per un valore di 37 miliardi circa, che ad essere gettati nel bidone sono soprattutto frutta, verdura, pane, pasta, uova, latticini e affettati; che secondo alcuni studi una delle cause dello sperpero è il sovraccarico di offerte nei supermercati, oltre alla poca coscienza dei consumatori e alla politica delle grandi catene di distribuzione e produzione.
Queste cifre sparate così a bruciapelo di prima mattina non sono state certo il miglior buon giorno. Tanto più che arrivato all’OPAM ho trovato la razione quotidiana di richieste di aiuto dai Paesi dove la fame è di casa, dove molti bambini affrontano a piedi km. di sentieri per andare a scuola a pancia vuota e attendono con ansia rassegnata che cali la sera per consumare l’unico pasto della famiglia.
Ho trovate le richieste dall’America Latina di aprire doposcuola e “comedores” perché i bambini oltre ai compiti possano fare un pasto completo al giorno, ho visto le foto dei bambini di strada che sniffano colla non solo per dimenticare i paurosi fantasmi di morte che li ossessionano ma anche per placare i morsi della fame.
Per alcune centinaia di milioni di persone del primo mondo, che spendono cifre astronomiche per curarsi delle malattie da sovralimentazione, ci sono miliardi di poveri Lazzari che contendono ai cani le briciole che cadono dalla tavola del ricco epulone. Già, epulone… avevo appena commentato la domenica precedente questa parabola evangelica ed ora il giornale me lo riproponeva. Anche se non vestito di porpora e di bisso, me lo ritrovavo ammiccante dai manifesti che reclamizzano consumi spesso superflui se non dannosi, affannato tra i banchi stracolmi dei supermercati. Mentre in questa parabola il povero ha un nome, quello dell’amico più caro di Gesù, il ricco è definito dal suo agire: un gaudente mangione, dall’anima ottusa e incapace di vedere oltre il bordo del proprio piatto. Il Vangelo infatti non lo seppellisce all’inferno per il suo lusso nel vestire o i suoi eccessi di gola, ma per non aver dato nulla: non un gesto, non una briciola, non uno sguardo al mendicante. Il suo peccato (male) è l’indifferenza assoluta: per lui Lazzaro semplicemente non esiste, non lo vede, perciò non fa nulla per lui. Forse non è un malvagio, ma solo un indifferente. Ma l’indifferenza ha il potere di uccidere, ridurre al nulla l’altro e rendere un inferno la nostra vita, già oggi.
Ricordo anni fa un barbone nel métro a Parigi, con un cartello: Signori, per favore guardatemi: sono un povero, non sono un manifesto”. Queste parole mi hanno trapassato il cuore e mi ritornano in mente nella risposta di Abramo al ricco epulone preoccupato per la sorte dei suoi cinque fratelli: “Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro”. Oggi forse direbbe: “Hanno il Vangelo e i poveri: ascoltino loro”.
Ma chi ascolta il brusio dei poveri? Chi li vede? Chi ha pietà delle loro piaghe?
Il mese di ottobre è per tradizione il mese missionario. Lo slogan coniato quest’anno è: “Spezzare il pane per tutti i popoli”. Il pane non è solo il cibo che si butta nei bidoni: l’uomo non vive di solo pane, ma di salute, di istruzione, di verità, di relazioni… La frase è bella e vera, ma l’ampiezza del compito potrebbe diventare un alibi. Certo non spetta a noi sostituirci a Dio nella gestione del mondo e risolvere problemi tanto più grandi di noi. Ma forse ci è chiesto di muoverci in prima persona, senza attendere ordini dall’alto o consensi dal basso e soprattutto senza illuderci che le parole siano fatti. La goccia d’acqua della nostra iniziativa personale non è priva di valore, quando è il segno della nostra attenzione fraterna all’altro.
E’ l’esperienza che da anni l’OPAM ci conferma. Non abbiamo soluzioni globali da proporre, non sradicheremo l’ingiustizia dal mondo né la fame o le malattie o l’ignoranza. Ma se abbiamo occhi attenti possiamo scorgere il volto di Lazzaro, l’amico di Dio, che ci presenta la sua umanità dolorante, affinché nella condivisione a cui ci sollecita possiamo trovare quella gioia che riempie la vita e che non abita nella casa degli epuloni senza occhi e senza cuore.
Don Aldo Martini

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