giovedì 16 dicembre 2010

Speranza o delusione?


Scrivo queste righe in Avvento: le leggerete forse a Natale o dopo. Ma non ha molta importanza per il contenuto dei pensieri che vorrei condividere con voi, cari amici. Avvento indica che qualcosa sta avvenendo, ma anche che qualcuno sta venendo. Siamo talmente abituati alla ripetitività che il nostro rischio è di non accorgerci di ciò che sta avvenendo o di chi sta arrivando. Per noi è normale -quasi come il ripetersi delle stagioni- che il tempo ci riporti a rivivere il passato: almeno quello lo conosciamo, brutto o bello che sia, e facciamo meno fatica ad accettarlo. Per questo ci attendiamo che tornino le luci e gli addobbi natalizi per le strade, che i negozi invitino all’acquisto dei regali o dei saldi, che nelle chiese i preti ritirino fuori i personaggi del presepe e nelle case si addobbi l’albero di natale: è tutto nella norma, secondo la logica a cui siamo abituati. E’ rassicurante… Perché in definitiva il futuro, il nuovo un po’ ci spaventa.
“Avvento, tempo di attesa…” ci sentiamo ripetere. Ma siamo sicuri di aspettare qualcosa o qualcuno? In realtà forse non attendiamo nulla e nessuno. Abbiamo spento i nostri desideri per paura di essere delusi… Ci facciamo bastare, per paura di perderlo, quel poco che abbiamo o siamo. E’ spento il desiderio, perché è morta la speranza o ridotta al lumicino. Ciò che manca di più oggi, in questo nostro tempo di incertezze e di crisi di ogni tipo, è il coraggio di attendere una risposta.
“Vi sono tanti uomini, anche grandi uomini, i quali pensano che l’unico atteggiamento autentico è quello della franca accettazione della disperazione nei confronti della vita”: così scriveva quasi 50 anni fa Thomas Merton. Parole quanto mai attuali.
Se non alla disperazione almeno ad un atteggiamento scettico e disincantato ci spinge la fatica del nostro vivere, quando è circondato da oscurità, dolore e solitudine e quando l’ottimismo cristiano ci viene presentato come una ricetta a buon mercato, che dichiara irreali i problemi quotidiani, le nostre angosce e tragedie. E allora il nostro Natale si riduce ad uno sguardo di tenerezza al Bambinello che sorride sulla paglia o ad apprestare un banchetto familiare di stagione, sostituendo ogni altra preparazione del cuore.
Il Natale cristiano non è una fuga dal mondo, è l’ingresso del Figlio nel mondo. Il problema non è se Dio viene, ma se io lo riconosco. Tutto parte da un interrogativo: “Sei Tu Colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” Scandalosa domanda in bocca a Giovanni Battista, il precursore dell’Atteso che in prigione davanti alla morte è assalito dal dubbio. Scandalosa ma quanto mai seria! E’ in gioco la verità della sua vita di profeta, ma ancor più la verità delle promesse di Dio. La speranza di Giovanni è incrinata… come tante volte la nostra. “Tutto qui? Aspettavamo un Messia che cambiasse la faccia della terra o per lo meno la nostra tribolazione in gioia… E Dio ci manda un Bambino… in una stalla... A che serve un bambino che ha bisogno di tutto?” E ci viene detto: “Vi è dato un figlio!” E anche da adulto questo Figlio dell’Uomo non risponde alle nostre attese e speranze. La delusione è ben espressa dai due di Emmaus che se ne vanno tristi da Gerusalemme la sera di Pasqua: “Noi speravamo… e invece è morto e sepolto da tre giorni”.
Natale non è una festa facile, come tutta la nostra fede e la nostra speranza. Corre sul filo rischioso della delusione, perché tentiamo di ridurre Dio alle nostre attese, ai nostri bisogni immediati. E ci perdiamo il dono che Lui ci fa. E’ vero: è solo un piccolo Bambino che ci viene dato, un Figlio di donna. Ma quel che vediamo è il Dio che si è spogliato della sua Gloria perché lo potessimo contemplare senza essere accecati dalla sua Luce. Un Dio che in quel Bambino ci mostra la sua compassione: il suo patire con noi la limitatezza della carne umana. Ma soprattutto Colui che “divenuto figlio dell’uomo, ha fatto diventare figli di Dio molti” come ricorda la Liturgia. Non ha portato dei doni: si è fatto Lui stesso dono: “prendete e mangiate il mio corpo dato per voi… prendete e bevete il mio sangue versato per voi.” E ci chiede di imitarlo: “Fate questo in mia memoria”. Prendendo gli uomini con Sé per farli diventare Figli come Lui, ci ricorda che ciò che accade a loro accade a Lui (Matteo 25: “avevo fame, ero nudo, malato, in carcere… e mi avete sfamato, ricoperto, visitato…”).
Questo è Natale: se non ci scandalizziamo di questo annuncio la delusione diventa speranza, anzi certezza. Le nostre lacrime non saranno più lacrime di amarezza ma di gioia. E sapremo tergerle da tanti volti. Questo è il Buon Natale che ci auguriamo a vicenda.

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