venerdì 4 marzo 2011

Solo un posto ai piedi di Gesù


 
S
tavo per chiudere il giornale di questo mese quando è giunta la notizia che Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze religiose, era stato ucciso in un agguato a Islamabad, crivellato di colpi da un commando di fondamentalisti islamici, “punito” perché si opponeva alla legge sulla blasfemia che in 25 anni di applicazione è costata la vita a centinaia di cristiani. Leggendo il suo profilo e il testamento spirituale che le agenzie andavano diffondendo ho pensato che nessuna parola poteva essere più efficace delle sue per aiutarci a rientrare in noi stessi e saggiare la consistenza dei valori su cui costruiamo la nostra casa, come ci invita a fare questo tempo di Quaresima.
Shahbaz Bhatti è stato ucciso il 2 marzo a soli 42 anni. Cristiano fervente, ha speso la sua vita a servizio dei fratelli cristiani poveri e perseguitati del suo Paese sino alla testimonianza estrema del suo martirio. Il suo testamento spirituale è una pagina commovente, “all’altezza di un testo dei Padri della chiesa” afferma il Card. Jean-Louis Tauran, a cui Bhatti aveva confidato poco tempo prima: “So che morirò assassinato, ma do la mia vita come testimonianza per Gesù e per il dialogo interreligioso”.
Lo leggiamo ringraziando Dio che suscita uomini simili e unendoci nella preghiera a tutti i fratelli e sorelle del Pakistan e di tanti altri Paesi, che quotidianamente spendono e rischiano la propria vita per coerenza al Vangelo e per servire il Signore nell’umanità sofferente. Nel nostro lavoro all’OPAM ne incontriamo tanti, impegnati ad alfabetizzare non solo le menti ma anche i cuori. Vogliamo sostenere i loro sforzi per costruire un futuro di Giustizia e di Pace con la nostra generosa e fraterna condivisione: è questo il digiuno gradito a Dio.

 “Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia.
Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio e nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.
Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato richiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: “No, io voglio servire Gesù da uomo comune”. Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.
Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri. Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione. (…)
Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna”.

Don Aldo Martini

Nessun commento:

Posta un commento